Troppo
caldo
a
Chicago
e a
Washington

La
maratona
di
Chicago
si è
trasformata
in
un
incubo
per
atleti
e
organizzatori.
Il
gran
caldo
della
città
americana
(31
gradi
e
86%
di
umidità)
aveva
consigliato
il
comitato
che
sovrintendeva
l'evento
di
imporre
lo
stop
alla
corsa,
ma i
protagonisti
hanno
voluto
proseguire.
Risultato:
un
morto
e
350
persone
finite
in
ospedale.
Un
morto
per
il
caldo
tropicale
anche
a
Washington
nella
corsa
organizzata
dall'esercito
Usa.
Gli
organizzatori
hanno
le
facce
di
chi
non
ha
parole,
non
riesce
a
capire,
non
sa
come
reagire.
Chicago
e la
sua
maratona
sono
sotto
il
fuoco
incrociato
del
Solleone
che
ha
accecato
la
metropoli
statunitense
e
delle
critiche
seguite
a
una
tragedia
che
non
può
trovare
una
spiegazione
logica,
semplicemente
perché
non
c'è.
La
morte
di
un
atleta
nel
corso
della
gara,
infatti,
ha
shoccato
il
mondo
dell'atletica,
specie
in
considerazione
dello
stillicidio
di
concorrenti
costretti
al
ricovero
in
ospedale:
ben
350.
Più
che
una
maratona,
una
sorta
di
prova
fatale.
In
realtà,
il
comitato
di
'saggi'
che
sovrintendeva
l'evento,
aveva
dato
prontamente
l'altolà
alla
corsa.
A
metà
gara,
infatti,
era
stato
diramato
l'ordine,
considerando
esagerati
i 31
gradi
e
soprattutto
l'86%
di
umidità
riscontrati
dagli
addetti
al
meteo.
Il
problema
è
stato
un
altro:
l'incapacità,
da
parte
della
stessa
organizzazione
e
delle
forze
dell'ordine
cittadine,
di
far
rispettare
il
provvedimento.
Come
una
folla
invasata,
infatti,
i
partecipanti
hanno
rifiutato
lo
stop.
"Abbiamo
provato
a
bloccare
la
corsa
-
spiega
il
portavoce
dei
pompieri
di
Chicago
-,
ma
migliaia
di
corridori
hanno
attraversato
le
barriere,
saltando
sopra
le
biciclette
dei
poliziotti:
semplicemente,
non
si
volevano
fermare".
Spesso
noi
podisti
abbiamo
la
nefasta
abitudine
di
non
aver
coscienza
dei
nostri
limiti
e
per
inseguire
un
traguardo
personale,
che
può
essere
rappresentato
dalle
“cose”
più
disparate,
perdiamo
il
senso
della
misura
e
soprattutto
della
realtà.
L’ennesima
conferma
di
ciò
è
quanto
accaduto
alcuni
giorni
fa
alla
Chicago
Marathon.
Riguardando
in
queste
ore
alcuni
filmati
caricati
sulla
“rete”
mi
sono
reso
conto
effettivamente
della
drammaticità
di
quanto
sia
accaduto
a
causa
delle
condizioni
climatiche
altamente
proibitive.
I
36000
partecipanti
hanno
inseguito
un
“sogno”
che
sarebbe
potuto
diventare
incubo
senza
ritorno.
Ben
30°
di
temperatura
con
un
tasso
di
umidità
intorno
al
90%
ha
letteralmente
falcidiato
i
concorrenti
con
ambulanze
che
non
hanno
avuto
tregua.
E
quando
lo
staff
organizzativo
si è
reso
conto
della
incontrollabilità
del
tutto,
ha
deciso
di
dichiarare
sospesa
la
Maratona,
ma
nonostante
i
blocchi
del
percorso
con
le
transenne,
i
podisti
a
tutti
i
costi
e in
maniera
assolutamente
incosciente,
hanno
voluto
testardamente
continuare.
Spesso
noi
runner
commettiamo
di
queste
“fesserie”
e
dovremmo
imparare,
a
volte,
ad
accontentarci
di
quello
che
possiamo
fare
e
che
il
nostro
fisico
è in
grado
di
sopportare.
Meglio
un
maratoneta
incompleto
ma
vivo.
Alla
fine
ha
vinto
il
keniano
Patrick
Ivuti,
ma
dire
che
mai
come
questa
volta
il
risultato
sportivo
perde
di
significato
è
superfluo.
Può
essere
più
pregnante
segnalare
il
numero
dei
ritirati,
ben
11mila
sui
36mila
iscritti:
una
'strage'
sportiva
che
è
costata
una
vita.
Stessa
sorte
è
toccata
anche
a
Washington
alla
corsa
organizzata
dall'Esercito
Usa
che
si
snoda
dal
Pentagono
lungo
il
Potomac:
ben
10
mila
dei
26
mila
corridori
non
sono
riusciti
ad
arrivare
in
fondo
e
addirittura
una
persona
è
morta
poco
dopo
aver
tagliato
il
traguardo.
"Sembrava
più
luglio
che
ottobre"
ha
commentato
Star
and
Stripes,
il
giornale
delle
Forze
Armate
che
ha
seguito
l'evento.
Gli
organizzatori
hanno
dunque
tentato
di
reagire,
ma
portano
la
responsabilità
di
avere
ammesso
una
massa
di
partecipanti
che
non
sono
stati
in
grado
di
gestire.
L’ansia
di
fare
il
record
dei
partecipanti
ha
fatto
perdere
il
senso
della
realtà
e
questo
episodio
deve
indurre
tutto
il
movimento
ad
una
seria
riflessione
globale.
Basti
pensare
che
dei
45.000
partiti
solo
di
20.000
si
sono
trovate
tracce
all’arrivo:
un
macello!
I
più
forti,
almeno,
hanno
trovato
rifornimenti
decenti
ed
hanno
quindi
potuto
portare
a
termine
la
gara,
in
qualche
modo.
Sul
traguardo
si è
vista
la
volata
fra
Patrick
Ivuti
e
Jaouad
Gharib,
finiti
a
pari
tempo
(2:11.11)
e
vinta
dal
keniano.
Di
seguito
sono
arrivati
Daniel
Njenga
(2:12.45),
Robert
Cheruiyot
(2:16.13),
Ben
Maiyo
(2:16.59),
Christopher
Cheboiboch
(2:17.17)
e
Lee
Bong-ju
(2:17.29).
In
campo
femminile
l’etiope
Berhane
Adere
ha
fatto
la
gara
imponendo
il
suo
ritmo,
compatibilmente
con
le
condizioni
ambientali,
ed è
andata
a
vincere
in
2:33.49
precedendo
di
poco
la
rumena
Adriana
Pirtea
(2:33.52)
che
è
stata
l’unica
a
resisterle.
Seguono
Kate
O’Neill
(2:36.15),
Liz
Yelling
(2:37.14),
Benita
Johnson
(2:38.30),
Nuta
Olaru
(2:39.04)
e
Paige
Higgins
(2:40.14).
Come
si
vede,
grandi
nomi
ma
tempi
fatalmente
modesti.