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Ormai la corsa viene praticata a livello intenso da un numero notevole di appassionati, spesso anche avanti con l'età. È pertanto naturale che i problemi legati agli infortuni rivestano una particolare importanza anche per chi non ha ambizioni olimpiche, ma vede nella corsa, oltre che un modo di fare sport, un modo di migliorare la propria qualità della vita. Essere infortunati vuol dire spesso non vedersi con gli amici per l'allenamento quotidiano, non frequentare un ambiente che ormai si ama o frequentarlo da spettatori anziché da attori: il tutto può essere frustrante se si protrae per diversi mesi.
La situazione è aggravata quando l'infortunio è di per sé banale, ma l'atleta non è in grado di riprendere a correre, mentre può svolgere una normale vita da sedentario. In questo articolo viene descritta una sindrome che può essere vista come evoluzione o complicanza di infortuni tutto sommato modesti.
Il quadro - Il soggetto presenta moderato dolore alla palpazione; in alcuni casi il dolore è assente. Gli esami (radiografia, ecografia, risonanza ecc.) non rilevano nulla di patologico, al più piccole zone edematose (da qui la denominazione di invisibile). Il soggetto sente dolore soltanto nell'azione di corsa; senza carico non vengono rilevati problemi, sono minimi o sono presenti in posizioni molto particolari.
CASO 1 - La patologia d'innesco è costituita da una tallonite che costringe il soggetto a intraprendere una terapia che fra l'altro comporta la sospensione della corsa (sostituita dalla bicicletta). Dopo tre settimane gli esami sono tutti negativi e si decide la ripresa degli allenamenti. Il dolore è molto attenuato, ma comunque presente; dopo una settimana si ritorna al livello di gravità iniziale. Dopo due mesi in cui si alternano riprese blande e terapie, il soggetto decide di riprendere la corsa solo quando allo start dell'allenamento il dolore è zero. Con riposo assoluto ciò si verifica dopo altri due mesi. In totale cinque mesi di stop, di cui almeno quattro senza riscontri oggettivi di patologia (anche alla palpazione il dolore era assente).
CASO 2 - Il soggetto è vittima di una fortissima contusione all'arcata plantare con interessamento del metatarso. Visto l'imponente gonfiore successivo al trauma, vengono svolte accurate indagini per evidenziare fratture o lesioni a legamenti. Nulla. Le terapie permettono un riassorbimento del versamento nel giro di 10 gg. Il soggetto ricomincia a camminare senza dolore e senza problemi dopo tre settimane. A questo punto prova la corsa a ritmi blandi. Il dolore è talmente vivo che il soggetto deve abbandonare dopo pochi metri. Si iniziano tutte le terapie locali, senza nessun effetto sul dolore in fase di corsa. Solo dopo tre mesi dal trauma il soggetto riprende a correre.
CASO 3 - Il soggetto lamenta un dolore nella zona pelvica anteriore; lo attribuisce al carico di lavoro per la preparazione di una mezza maratona, distanza che non correva da anni. Termina la mezza maratona con un ottimo risultato, aiutato da un antidolorifico preso prima della partenza. Si allena e gareggia ancora per circa due mesi e mezzo, alternando periodi di riposo di 7-10 gg. a periodi di allenamento e terapia antidolorifica tradizionale. Nel frattempo esegue tutti gli esami del caso, compresa un'elettromiografia e una risonanza: nulla. Decide di fermarsi completamente. Dopo tre mesi di stop riesce a riprendere normalmente a correre.
CASO 4 - Il soggetto è vittima di una fascite plantare che viene curata opportunamente. Alla ripresa degli allenamenti dopo qualche settimana il soggetto ripresenta problemi all'arco plantare. Temendo una recidiva, si rieseguono tutti gli esami del caso che però risultano negativi e il soggetto viene invitato a riprendere gradualmente. Dopo due mesi la situazione è ancora precaria, tale da impedire un allenamento programmato. Il soggetto decide di buttare il plantare che gli era stato prescritto e di fermarsi: dopo un mese riprende normalmente a correre.
CASO 5 - Il soggetto è vittima di una sospetta elongazione al soleo che viene curata con ultrasuoni, idromassaggi, massoterapia. Dopo dieci giorni si utilizza la bicicletta (1-2 ore) come mezzo allenante alternativo alla corsa (il soggetto non avverte dolore). Dopo venti giorni (la temporizzazione è dall'inizio del caso clinico), il soggetto riprende a correre, ma dopo pochi giorni il dolore si riintensifica, imponendo un'altra settimana di riposo. Dopo un mese il soggetto prova la ripresa della corsa con esiti disastrosi: dopo tre giorni di ripresa tutto sommato blanda, il dolore lo costringe a fermarsi dopo poche centinaia di metri; alla palpazione sente un dolore abbastanza netto a metà del perone, praticamente identico a quello avvertito all'inizio del caso; a questo punto è abbandonata la diagnosi primitiva e si teme una microfrattura, ma le indagini (radiografia, risonanza magnetica) sembrano escluderla. Dopo altre due settimane di terapie varie la situazione è la seguente: il soggetto non avverte nessun dolore a camminare, a pedalare, a saltellare sul posto (!) e a eseguire qualunque esercizio muscolare senza carico, ma non appena corre il dolore si presenta quasi istantaneamente. Si valuta anche un possibile problema angiologico, ma il test di Ratschow è nettamente negativo; viene eseguita anche un'elettromiografia per escludere una sindrome compartimentale. Alla palpazione non avverte nessun dolore. A questo punto sospende le uscite in mountain bike e decide per il riposo assoluto (senza bicicletta e senza massoterapia): grazie anche a una terapia innovativa basata su autoinfiltrazioni, dopo dieci giorni riprende normalmente a correre.
Quali insegnamenti trarre da questi casi? Vediamoli in dettaglio.
Il carico - Tutti gli atleti (tranne 2, ma si tratta anche qui di un carico eccezionale!) hanno avuto l'infortunio dopo aver stabilito i loro record assoluti o per lo meno stagionali o comunque dopo un periodo di carico notevole. A seconda dei casi si può parlare di carico quantitativo o di carico qualitativo.
L'età - Tutti i soggetti hanno età compresa fra i 35 e i 45 anni. Forse l'età conta qualcosa, ma occorrono altri riscontri.
Gli esami - I falsi negativi (cioè esami negativi, ma patologia reale) possono essere dovuti a diverse cause:
errato tempo dell'esame (per esempio nelle fratture da stress un esame prematuro spesso non "vede" nulla)
errata strumentazione (soprattutto in campo ecografico)
scarsa esperienza sportiva dell'esaminatore (un esame deve essere letto "bene").
Purtroppo però nella sindrome invisibile da carico l'esame risulta negativo anche se svolto a tempo, con strumentazione e operatore eccellenti.
Le cause - In molti casi su cinque è presente un edema, anche se di modesta entità, una volta guarita la patologia d'innesco. Le cause possono essere solo ipotizzate e citate come spunto per chi volesse studiare la sindrome in dettaglio.